sabato 28 gennaio 2012

Perché sono contrario al self-publishing


Un romanzo autopubblicato che riesce a emergere è la punta brillante ma scheggiata di un cumulo di spazzatura che ha lo stesso odore dell'ego di chi lo ha generato.
In questi sette anni di contatto con la scrittura, e con le dovute proporzioni del mio non-ruolo editoriale, ho stimato che il rapporto di testi validi è di 1 a 10. E questo 1 contiene comunque refusi, strutture da registrare, personaggi da allineare, ecc.
Nel gigantesco cumulo di paccottiglia che è il self-publishing, trovare questi testi (imperfetti) è come entrare bendati nella Library of Congress statunitense, fare dieci giri su se stessi, puntare l'indice e raggiungere il libro che si stava cercando.
In rete, si sta osservando la nascita di siti di self-printing che aggiungono al mero lavoro della rotativa servizi editoriali quali l'editing, la promozione dell'opera, la realizzazione di booktrailer. In pratica, fanno il lavoro di un editore; con la differenza che il rischio e i soldi sono a carico dell'autore.
Non c'è truffa, non c'è raggiro. Si stratta di compravendite di servizi. Il problema si manifesta se si pensa che molti di quei 9 testi (se non tutti) non possono essere accomodati in alcun modo perché quando non hanno strutture narrative desuete sono scritti talmente male che viene da interrogarsi sul futuro della figura del narratore.
Ovviamente, non c'è nessuna pistola puntata alla tempia dei lettori che spendono tre euro per scaricarsi nell'ebook reader un testo del quale spesso non è presente nemmeno un'anteprima.
Quando il mercato è libero bisogna chinare la testa di fronte all'abilità dei singoli ma è doveroso riflettere sul gregarismo dei molti.

Mi chiedo se la combinazione di un prezzo allettante e una trama surgelata possano essere le uniche discriminanti per definire il nuovo concetto di best seller in tempo di autopubblicazioni: cioè senza preoccuparsi della cura insita in un'opera narrativa. E mi riferisco ad Amanda Hocking, naturalmente.
Poiché sono un individuo unico, posso dire la mia senza scombinare i piani della multimilionaria ventisettenne del Minnesota.
Sorvolo sulla boriosa pretesa di etichettare i gusti di coloro che scaricano un libro come Switched e del quale mi sono bastate le prime dieci pagine delle venti dell'anteprima. 
Dico: editori blasonati ci hanno venduto anche della paccottiglia, è vero; dunque la presenza di un editore non è di per sé sinonimo di cura. Ma gli editori si possono correggere, istruire, richiamare alla professionalità, scegliere, selezionare.
Gli scrittori no. Gli scrittori sono ego puro.
Mettere sul mercato un libro che, quando l'ha avuta, ha subito la revisione della zia o del fidanzato innamorato, rappresenta la distruzione della professionalità della scrittura.
Non esiste alcun testo al mondo che non necessiti di una revisione.
La revisione può essere acquistata come parte di un servizio editoriale, ma come faccio a sapere che l'azienda di editing non raccolga anche la poltiglia pur di vendere la propria prestazione?
Io, lettore, come posso essere garantito circa quello che acquisto?
Dietro quel libro, cosa c'è? Una scrivania e un portatile. E poi?
Sì, è bello. È molto moderno. È molto liberale; però il monte di melma stantia e sgrammaticata sarà così alto e gigantesco e puzzolente che i rari fiori profumati, lassù, in cima, saranno irrespirabili e invisibili; e comunque avranno petali sporchi.
Troveranno comunque degli acquirenti perché costeranno poco, e attireranno i cercatori di rifiuti, i collezionisti di paccottiglia, i filosofi di un "tanto al chilo".
La libertà di narrare farà coppia con l'appiattimento del senso critico. Vivranno in una casa con la muffa alle pareti e avranno come centrotavola un vaso di fiori sempre freschi, freschissimi. Ma coi petali sporchi.

23 commenti:

  1. PS 1: i lettori saranno sempre più ignoranti, 'istruiti' da questi autori.

    PS 2: insieme all'idea che tutti possono pubblicare si diffonderà quella che ritiene 'paganti' persino i professionisti, da cui si dovrebbe imparare. Ma tanto la solita premessa è che gli autori a pagamento non leggono.

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  2. è vero, e anche se non dovrei essere d'accordo in quanto "autrice autopubblicante". Condivido anche la parte dell'ego, a cui aggiungerei anche l'impazienza, perchè è dura aspettare mesi e mesi sperando, per poi, il più delle volte non ricevere neanche risposta da case editrici. Ma è anche vero che a volte, quando non hai nessuno alle spalle, quando non hai tempo per proporti, per venderti, oppure non lo sai fare, piuttosto che lasciare il tuo lavoro nascosto nel cassetto, prendi coraggio e lo pubblichi. Perchè spesso tra piuttosto e niente, è meglio piuttosto, soprattutto perchè quel piuttosto potrebbe nascondere un lettore, due lettori, Il Lettore, ovvero finalmente la tua occasione!
    chi tutela noi come lettori? la stesso intuito che in libreria ci guida quando tra tanti titoli pubblicizzati scoviamo il libro che NOI vogliamo leggere!

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  3. L'impazienza non può essere una giustificazione per il self-publishing. Se le case editrici dovessero rispondere a tutti coloro che inviano testi, ci sarebbero meno libri e più email, in giro. (Qualcuno di mia conoscenza potrebbe dirsi d'accordo.)
    Discorso diverso per quegli editori che dicono di rispondere a tutti e poi non lo fanno. Io, di base, sono refrattario all'obbligo di riposta negativa, perché il più delle volte è un ciclostile. Né si può pretendere una scheda di valutazione, perché ciò comporterebbe spreco di tempo (non pagato) e l'obbligo di leggere tutto il romanzo, quando per scartarne uno spesso sono sufficienti le primissime pagine. Se si sa scrivere lo si vede subito, e molti autori muoiono dopo il quarto avverbio in due righe.
    Tra piuttosto e niente, io scelgo niente. Ma qui si va nel campo dell'autocritica. Terreno infido.

    Per quanto concerne la scelta dell'autopubblicante, non stai ragionando qaudrimensionalmente (direbbe un famoso personaggio cinematografico).
    Una casa editrice si costruisce un'identità, cioè, in base alle sue scelte la si può catalogare per campo di pubblicazioni e per qualità. Con i self-publishing, questo non è possibile perché OGNI autore diventa una casa editrice; dunque, ogni autore è un salto nel vuoto e considera che questo salto spesso è senza la rete dell'anteprima che a volte può salvare la vita (e il portafogli).
    Ma sul serio si pensa che il tempo delle persone valga così poco? Cioè, io dovrei sfogliare una pletora di titoli autopubblicati senza alcun riferimento al contenuto, consumando minuti e minuti per ritrovarmi, quando mi va bene, un testo pieno di PDV sballati, farcito di avverbi e con uno stile di scrittura da etichetta di formaggino?

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  4. "Il lettore, la tua occasione"...
    Il lettore non è una X da mettere sulla carena. È la prova che la tua scrittura vale qualcosa, non l'insipida dimostrazione che il tuo ebook costa poco.

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  5. condividevo gran parte del tuo articolo, condivido ben poco della risposta al tuo commento. Non ho parlato di risposte con la pretesa di scheda di valutazione, ho parlato di risposte,anche un ciclostile. L'idea della casa editrice che garantisce qualità con la linea editoriale è utopia. e per chi ha poco tempo da dedicare alla curiosità, al piacere/delusione della scoperta di quello che non è stato già inscatolato e imbellettato e disposto in pile, ci sono le sezioni vicino alla cassa delle librerie. per gli stessi che comprano ebook su internet ricordo che si può facilmente, per evitare di navigare tra titoli indesiderati, filtrare i risultati magari per casa editrice. Per il resto mi dispiace che tu legga l'etichetta dei formaggini invece di mangiarli spalmati sul pane tornando un pò bambino, mi dispiace che la tua carena sia pulita e soprattutto che ti perdi la libertà dell'impazienza, il delirio dell'ego che ti inebria, e il potere della fantasia che accompagna i sogni ad occhi aperti.
    grazie per "la chiacchierata", a presto!

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  6. Le persone sono fatte anche per non andare d'accordo.

    Non hai ben chiaro il lavoro di editing (complessivo) che c'è dietro un testo.

    Perché parli di filtri di ricerca per casa editrice quando io mi riferivo all'incognita data dal non poter sfogliare ogni self-publishing, che casa editrice non ne ha?

    Non ho mai detto di leggere le etichette di formaggini.
    Sei solo arrabbiata.
    E i formaggini mi piacciono.

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  7. come mai credi che io non abbia chiaro il lavoro di editing che c'è dietro un testo?
    come mai credi che io sia arrabbiata?
    come mai credi che io ti abbia detto che i formaggini non ti piacciono?
    o sono io che non mi spiego o tu leggi sommariamente quello che scrivono gli altri.
    ah, scusa ho un'ultima ipotesi: forse il tuo ego ti pone troppo sopra le righe.
    Cordialità!

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  8. 1) Perché tutte le persone che ho conosciuto e che hanno avuto a che fare con una casa editrice rifuggono dal self-publishing. Anche la Hocking si è agganciata al St Martin's Press, scrollandosi di dosso Amazon dopo aver raggranellato due milioni di dollari.

    2) Perché se non lo fossi stata avresti capito che quella dell'etichetta dei formaggini era solo una metafora.

    3) Era una battuta per stemperare. Sai, una battuta ha più o meno lo stesso meccanismo mentale di una metafora.

    4) leggere il punto 2)

    5) Ego: Io vedo il mondo per come mi si appiccica addosso. Rappresento me, nessun altro. La filosofia del "volemose bene" alla social non mi appartiene. Quindi, io dico la mia e tu dici la tua, se si va subito d'accordo, bene; se uno dei due riesce a convincere l'altro, bene; se ognuno rimane sulle proprie posizioni, ci abbiamo provato.

    Ciao. :)

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  9. Io non la vedo proprio così. Certo pubblicare con un editore vero è 1000 volte meglio che farlo da soli, ma per altri motivi.

    Intanto non credo nell'editing come "miglioramento" di un testo. L'editing è un di più dato dall'editore per inserire meglio un libro in una collana o per proporlo a un target, ma con la spontaneità dell'opera e con la sua qualità secondo me non ha molto a che vedere.

    Poi gli editor sono i primi che a loro volta sono anche autori, e non mi pare che nella maggior parte dei casi loro stessi siano così al di sopra dei difetti e delle magagne comuni a ogni scrittore.

    Che poi l'editing serva io sono il primo ad ammetterlo e ad accettarlo, ma non è un valore aggiunto all'autore quanto piuttosto un incontro tra la creatività e le richieste del mercato.

    Ancora, io non vedo perchè uno scrittore debba garantire qualsiasi cosa al lettore. È come dire che se vado a una mostra pretendo che tutti i quadri o tutte le opere debbano piacermi o essere di qualità superba. Se a qualcuno interessi ti leggerà e starà a lui decidere il proprio giudizio. Poi se un autore piace è giusto che venga premiato ma non è giusto decidere a priori cosa piacerà e cosa no quando le decisioni sono prese su basi di marketing o di prodotti editoriali precedenti che hanno avuto o meno il favore del pubblico.

    Detto questo, pubblcare con un editore è sempre "meglio" perché intanto non sei da solo, ma c'è altra gente che lavora con te e in genere questo lavoro si "vede". Poi l'editore pensa a tanti aspetti dove magari l'autore è carente o semplicemente che non è in grado di gestire da sé.

    Ancora, un buon editore ha una visibilità che un autore non può sperare di ottenere da solo, per cui se potessi scegliere toglierei tutti i miei ebook dalla rete e li ripubblicherei con una casa editrice in qualsiasi momento.

    Simone

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  10. Rispondendoti, mi ripeterei, perché quello che penso è tutto scritto in cima. Allora, provo a parlare di editing.
    Un autore che fa anche editing professionale non potrà mai essere editor di se stesso. L'occhio esterno ci vuole. Serve sempre. Un autore esperto avrà meno interventi, è ovvio, ma il contraddittorio è fondamentale.

    Già che ci sono, parlo di garanzie, ma qui mi ripeto.
    Il self-publishing non può assicurare la qualità. Non sto parlando di un libro che può piacere o meno. Neanche la presenza di un editore può riuscire a fare piacere un testo alla totalità degli acquirenti, ma quantomeno il libro avrà un registro grammaticale corretto e una struttura bilanciata (nell'equilibrio personale di ogni opera, s'intende). Il self-publishing è quasi sempre un colpo alla cieca. Chi mi dice che in quel testo non troverò grumi avverbiali, o personaggi bidimensionali, o errori nella coniugazione del trapassato remoto? Non dico delle cose a caso. Pur ribadendo il mio non ruolo editoriale, confermo, per esperienza diretta, che su dieci testi di esordienti puri nove sono irrecuperabili.

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  11. Non sono un "autopubblicato" anche se magari lo diventerò, però desidero fare due brevi osservazioni: la prima, ovviamente, è che tutti sono liberi di giocarsi le proprie carte come vogliono (certo chi va da editori a pagamento a consegnare somme pazzesche lo fa peggio di altri...), la seconda è: chi dice che un autopubblicato non abbia mai la premura di farsi riguardare il testo da una persona con qualche competenza? *Se* si prende questa cura, potrebbe avere più garanzie di uno che va con una casa editrice...

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  12. È più che probabile che all'interno del self-publishing ci siano decine di testi meritori, ma è impossibile scovarli senza sbattere il muso sulle altre migliaia di nefandezze.
    Come dicevo, l'editoria non è la panacea, ma applica dei filtri anche su se stessa. Se una casa editrice dimostra la propria incapacità con le sue scelte, si scava la tomba.
    Per testare un self-publisher devo acquistarlo. Spesso alla cieca. Io non riuscirò mai a farlo: perché è una roulette russa.
    Immagina le migliaia di manoscritti nei cassetti che prendono la via di Amazon. Possono farlo. Non c'è alcun freno. Non è nemmeno corretto impedirlo. Ma come posso individuare la *cura* di cui parli? Come accertarne la presenza? Dare l'abbrivio a questa mentalità del "tutto è possibile" non è sbagliato dal punto di vista delle opportunità che ogni individuo può avere, ma è pericoloso perché dà nuova linfa alla forma mentis della "quantità"; dell'abbondanza sopra ogni cosa che distrugge il senso critico. Ovvio, il mio assioma funziona solo se si è d'accordo sulla teoria del "9 a 1".
    Attirare un lettore solo con il brillio di un prezzo basso conduce, nel corso degli anni, a girare tra testi mediocri che pian piano inizieranno a fare scuola, a indottrinare i lettori. La qualità media si abbasserà.
    È il popolo, con le proprie scelte, a generare la cultura di un Paese. Il volgare ce lo insegna. Ecco, non vorrei che la percezione della qualità fosse influenzata solo dalle giornate sconto di Amazon. È orribile pensarlo.

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  13. Io credo che i lettori abbiano (e si prenderanno comunque) il diritto di scegliere, e *spero* sia sottovalutare la loro intelligenza pensare che compreranno per il solo prezzo accettando qualsiasi porcheria illeggibile. Penso che ci sarà un gran putiferio in cui sarà difficile scegliere, ma c'è anche adesso.
    Quanto alla cura di cui parlo, il problema è: non posso sapere se l'autore "autopubblicato" abbia o no cercato di farsi fare un editing decente, ma non posso sapere nemmeno se la casa editrice mi darà un'opera ben curata, visto che si trovano strafalcioni nei libri, che la professionalità è in picchiata e che anche personaggi insospettabili ammettono che si fanno "marchette." Posso solo sperare.
    La verità, penso, è che ci vorrebbe qualche opinion maker neutrale... Ma oggi ovviamente non esiste. Un'altra verità, e questa è incontestabile, è che comunque questo fenomeno avviene, e ci si dovrà fare i conti.

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  14. Questo è fuori discussione. Il fenomeno c'è. Fare finta che non esista è mettere la testa nella sabbia.
    Ma se ne può parlare. Vivaddio, questa è libertà! Come il self-publishing, del resto.
    Solo noi e il tempo potremo decidere cosa farne; di entrambi.

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  15. Oggi è pieno di piattaforme di self publishing e per molti aspiranti scrittori questo è diventato l'albero della cuccagna. Ho visto personalmente, sopratutto su Facebook, autori che pubblicizzano il loro libro autopubblicato e già in quelle piccole frasi in cui si annunciavano al mondo c'erano gravissimi errori grammaticali.
    Quindi su questo punto siamo d'accordo.
    Sul "NO" secco al self publishing non sono invece convinto. Io stesso vorrei provarlo. È un esperimento come un altro. Ma dopo aver fatto leggere la storia a un editor professionista, averla quindi revisionata, fatta rileggere e dopo - in seguito, soprattutto, a una buona impaginazione dell'ebook - provare a vendere.
    Uno dei problemi della scarsa qualità degli ebook autoprodotti - ma che ho trovato anche in quelli a pagamento - è legato alla creazione dell'ebook. Oggi fioriscono applicazioni e servizi online gratuiti per convertire un testo in un ebook, mentre vanno impaginati con programmi specifici.

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    1. Daniele, il tuo approccio al selfpublishing è senza dubbio quello migliore, però dobbiamo imparare a guardare tutto dall'alto e non solo il nostro cortiletto di scrittori.
      Cosa intendo? Dico: come faccio io lettore a riconoscerti in mezzo al marasma. Ti servirai di un'agenzia di editing? Quale? Chi sono?
      Servirebbe una specie di bollino EOP (Editing di Origine Protetta) per riconoscere questi lavori. E come si fa? Chi lo fa? Questa fantomatica agenzia sarebbe in grado di dirti, dopo aver preso, che so, una parcella per la lettura, che il tuo romanzo non funziona? O, che so, che è la copia sputata de "L'insostenibile leggerezza dell'essere" per cui proprio non si può fare?
      Questo è il punto. Come ben sai, sotto la voce "editing" c'è anche un controllo preventivo quanto possa valere un testo nettato, non soltanto la correzione semantica o le spuntature stilistiche.
      Il problema sta appunto nell'ovvia constatazione che la casa editrice fattura su una scommessa, l'agenzia di editing (cattiva) invece stacca ricevute a ogni contatto con un selfpublisher. Va da sé che il rischio per l'agenzia è ben diverso e (forse) risiede solo nella credibilità futura.
      Come se ne esce fuori? E il lettore come fa a sapere che il libro di Daniele non abbia gli accenti acuti sulla terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere?

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    2. Ho capito che intendi. Per come la vedo io, l'editor dovrà dirmi prima se vale la pena editare il mio testo. Poi, in caso affermativo, si andrà avanti. E gli ebook - come qualsiasi libro - andrebbero corredati di anteprima, chiaro, prima di farli acquistare a un lettore.

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  16. Per quanto sia d'accordo che nelle opere di self-publishing il rapporto opera valida-nefandezze sia di 1 a 10, e anche quell'uno spesso meriterebbe un editing più professionale, da lettore, il cercare il fiore tra la merda l'ho sempre trovata la parte divertente della questione.

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    1. Eh, ma quando ti va bene ti costa un euro a ricerca. Continuo a credere che la garanzia a monte sia l'unica arma per convincermi come lettore.

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  17. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  18. Occhio a non eccedere nel senso opposto; qualcosa di "diverso" che può sembrare "sbagliato" poi non sempre si rivela tale. Se il mondo della letteratura si fosse limitato a uniformarsi a un canone e a "tirarsela" non sarebbero esistiti scrittori come Sterne e James Joyce, tanto per scomodare due esempi famosissimi; oggi sono riconosciuti come letteratura 'impegnata', ma Sterne dovette autopubblicarsi il Tristram Shandy e fu pure tacciato di essere noioso e insensato. Questo vuol forse dire che fra trecento anni tutti gli autori che si autoproducono a spron battuto grazie al self publishing saranno ricordati nelle storie letterarie? Ovviamente no, ma a posteriori è ipotizzabile che elementi apprezzabili (come la spontainetà) di questi autori, pur con tutti i loro difetti sintattici, strutturali, morfologici ecc. possano essere rivalutati. Che poi possano piacere o no è questione di gusti (io per esempio ho avuto molte difficoltà a leggere Sterne la prima volta. Poi me ne sono innamorata)... ma, ripeto, secondo me a qualunque fenomeno relativo alle arti figurative (non intese come "arte alta" o "arte erudita", ma proprio a livello di; pittura, scrittura, scultura, cinema, ecc) andrebbe concesso il beneficio del dubbio. De gustibus...

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  19. Cara Anonima, nel corso degli anni il mio approccio all'autopubblicazione si è ammorbidito, ma le fondamenta dei miei dubbi restano solide.
    Come mi pare di aver detto su, nei commenti (ho riletto velocemente), non sono contrario per principio al selfpublishing ma non mi sento ancora garantito come lettore.
    Ho detto qualcosa in più in una paginetta su Medium: https://medium.com/@pitumpa/il-consiglio-di-un-singolo-ai-selfpublisher-d5613d7c392a
    E le perplessità del byebyebook del 2012 restano ancora in piedi: http://sergio-donato.blogspot.it/2012/03/byebyebook-byebyelettore.html

    Ciao.

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