venerdì 3 marzo 2017

River: parlarne senza parlarne



Continuo ad assorbire arti senza documentarmi su di esse. Per preservare la mia sorpresa.
Conoscevo questa serie, River, perché ne aveva parlato in modo lusinghiero, ma abbozzato, una persona di cui mi fido per cultura. È una di quelle persone che utilizzo come filtro.
I filtri sono importanti. L'atmosfera terrestre è un filtro che impedisce ai raggi ultravioletti di carbonizzarci la pelle, per esempio. Pensa se non ci fosse.
Pensa se tutte le forme d'arte fossero sempre senza filtri, che non significa non essere libere di esprimersi, ma prive di un giudizio. Una selezione è sempre importante: che avvenga a monte o a valle. Per quanto riguarda l'atmosfera, sono contento che avvenga a monte. A volte anche per la scrittura.
La scrittura perderà valore con il tempo, perché internet è fatta di immagini e di scrittura, e dove c'è il tanto c'è anche il disvalore. Pensa a un mondo pieno di polli, letteralmente invaso da essi, miliardi e miliardi di polli starnazzanti. Sentine il rumore, l'odore, il sapore. Quanto pensi varrà un pollo? Quanto vale un filo d'erba, ora?
Succederà così per la scrittura. Ce ne sarà così tanta che non varrà niente, nemmeno zerovirgolanovantanove euro. Sarà gratis. Tutti scriveranno gratis. I soldi li faranno con la trasformazione della scrittura in immagini, dalla vendita dei diritti per i nuovi padroni dell'intrattenimento visivo on demand. Dopo un altro po' di tempo perderanno valore anche le immagini, cioè quando sarà più facile farle. Quando potranno farle tutti. Fare le immagini: che bello il verbo fare. Lo usiamo così poco.
Ora, io non so come sia nata River, non siamo ancora in quella parte di futuro della scrittura. Di River conoscevo solo il parere schizzato di quella persona-filtro e l'immagine che vedi sopra.
Basta.
Ho toccato play sullo schermo e ho visto la storia così come dovrebbe essere raccontata. E l'ho anche sentita. Perché è una serie fatta di suoni di stoffa, di suole di scarpe, fruscii, silenzi. I suoni delle attese.
È tanto difficile parlare di qualcosa senza parlarne: perché mi piacerebbe che anche tu premessi play sapendo il meno possibile. Ti posso dire che vedresti primi piani, rughe, imperfezioni, le caruncole degli occhi di Stellan Skarsgård. La caruncola è quella pepita di carne che c'è nella congiunzione delle palpebre. Quel bottone umido da cui pensiamo vengano fuori le lacrime.
Stellan lo vedrai piangere poco. Ecco, già ti ho detto troppo.
Ho visto solo il primo episodio. Magari diventa la serie più brutta di Netflix, però, per adesso, mi tengo un poliziesco asciutto, a tratti semplice, con lacrime da andare a cercarsele nei dettagli.

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