sabato 1 novembre 2014

Un libro è un libro. E una campagna?



Lo dico subito e lo ripeterò alla fine, perché in internet lo so come funziona la lettura dei testi.
Sono per la riduzione dell'IVA dal 22% al 4% sugli ebook.

La campagna #unlibroèunlibro, lanciata dall'Associazione Italiana Editori il 31 ottobre, ha voluto illuminare la disparità tra l'IVA al 4% applicata sui libri cartacei (o su supporto fisico) e quella al 22% sugli e-book (o diffusi per via telematica e oggetto di commercio elettronico diretto), battendo sullo slogan "un libro è un libro" e domandandosi il perché di questa discriminazione fiscale.

Ciò che mi ha indisposto della campagna unlibroèunlibro è che mi è sembrata un'"urlata" all'italiana a cui tutti hanno dato seguito perché "caspita, un libro è un libro", e poi "il valore della cultura non ha formati", e poi (questo più sotteso) "sempre meglio farla scendere l'IVA, no?"
La prima cosa che a me è venuta in mente, invece, è stata: "Sì, ma perché l'IVA è al 4%?" Quindi ho scaricato il pdf del comunicato stampa in cui, tra le altre cose (un po' diafane) viene detto: "[...]Il comunicato vero e proprio dell'iniziativa sarà disponibile dal 4 novembre."
Ohibò! Quindi perché devo partecipare a una campagna di cui non so niente? E quel 4%, poi, da dove arriva? C'è un discorso di costi? Di produzione? Di resi? Di librerie? Se io assecondo la campagna, che cosa succede ai libri? E ai librai?
Allora mi sono messo a cercare.

L'IVA al 4% scende da quel pantagruelico DPR 633/72, e successive variazioni, firmato nientemeno che da Giovanni Leone e in vigore dal 1 gennaio 1973.
La sorpresa sta nello scoprire che il regime speciale al 4% per l'editoria di cellulosa non nasce subito; la sua gestazione è più lunga: il primo vagito dell'editoria cartacea al 4% arriva dopo ben 16 anni.
L'aliquota al 4% (DPR 633/72 art.16 c.2) ha infatti per oggetto i beni e i servizi elencati nella famigerata Tabella A, a fine DPR, e che nel corso degli anni ha visto ben 49 aggiornamenti.

La voce sull'editoria, compare solo il 30 aprile 1989 (aggiornamento 13):

18) giornali quotidiani, libri, periodici, edizioni musicali a
stampa e carte geografiche; carta  occorrente  per  la  stampa  degli
stessi e degli atti e pubblicazioni della Camera dei deputati  e  del
Senato della Repubblica;
Mentre oggi, in vigore dal 1 gennaio 2014 (aggiornamento 49), la voce è questa:

18) giornali e notiziari  quotidiani,  dispacci  delle  agenzie  di
stampa, libri, periodici, anche in scrittura braille  e  su  supporti
audio-magnetici per non  vedenti  e  ipovedenti,  ad  esclusione  dei
giornali e periodici pornografici e dei cataloghi diversi  da  quelli
di  informazione  libraria,  edizioni  musicali  a  stampa  e   carte
geografiche, compresi i globi stampati; carta occorrente per la stampa
degli stessi e degli atti e pubblicazioni della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica; materiale tipografico e simile attinente
alle campagne elettorali se commissionato dai candidati o dalle liste
degli stessi o dai partiti o dai movimenti di opinione politica; 
Quello spazio  di 138 caratteri su 225, spazi inclusi, occupato nel 1989 dalla precisazione sulla carta utilizzata per Camera e Senato mi ha strappato un sorriso populista, lo ammetto, ma non avendo trovato documenti storici circa il costo della carta (o il suo eventuale aumento) nel 1989, devo considerare la modifica del governo De Mita al DPR come una presa di coscienza delle dinamiche economiche riguardanti il costo della stampa di libri et similia, oppure uno slancio sociale a favore della cultura letteraria.
Ma far nascere un libro di carta comporta lo stesso dolore economico di un ebook? E la questione del "diritto di resa" da parte delle librerie può entrare nella discussione?

Cominciamo dalla seconda domanda.
Prima del 30 aprile 1989 non era prevista alcuna forfettizzazione sui resi invenduti. In quella data, invece, compare questa modifica all'art. 74, lettera c, comma 1, del già nominato DPR 633/72, in riferimento alle disposizioni relative a particolari settori:


c) per il commercio dei giornali quotidiani, dei periodici, deisupporti integrativi e dei libri, sulla base del prezzo di vendita al pubblico, in relazione al numero di copie vendute ovvero in relazione al numero di quelle consegnate o spedite diminuito del 40 per cento a titolo  di forfettizzazione della resa.[...]
Oggi, invece, suona così:

c) per il commercio di  giornali  quotidiani,  di  periodici,  di
libri, dei  relativi  supporti  integrativi  e  di  cataloghi,  dagli
editori sulla base del prezzo di vendita al pubblico, in relazione al
numero delle copie vendute. L'imposta può applicarsi in relazione al numero delle copie  consegnate  o  spedite,  diminuito  a  titolo  di
forfetizzazione della resa del 70 per cento per i libri e dell'80 per
cento  per  i  giornali  quotidiani  e  periodici
[...]

Al di là della modifica in crescendo e della differenziazione della percentuale forfettizzata di resa, tocca dunque riassumere due punti fondamentali:
Nel 1989, in un solo colpo, l'editoria si avvantaggia dell'aliquota IVA al 4% e della forfettizzazione della resa.

Non riesco a definire se sia stato uno sprone culturale, una vittoria delle associazioni di categoria o cos'altro, ma ciò significa che per gli editori oggi il momento impositivo diventa la consegna stessa, avendo avuto per legge una forfettizzazione dei resi del 70% non sulle copie vendute ma su quelle spedite.

A questo punto torno alla prima domanda. All'editore, un ebook e un libro costano uguale?
Non ho sottomano il conto economico di un libro, e non ho esperienze dirette che possano farmi scavare tra le partite doppie. Mi piace però prendere in prestito le parole di Silvio Sosio, presidente di Delos Books, che nel 2011 offriva questi dati:


"Il costo di un libro a spanne (poi dipende da molti fattori) è suppergiù questo:
4% iva;
60% distribuzione/promozione;
8/10% diritti d'autore;
il resto va in traduzione, editing, costi generali di gestione, eventuale utile se resta.
Il costo di un ebook invece si divide in:
22% iva; [aggiornata al valore attuale, NdA]
26/32% distribuzione;
18% diritti d'autore;
resto altri costi.
Come si vede anche a occhio, quello che resta all'editore per i suoi costi è suppergiù la stessa percentuale. Con la differenza che per l'ebook il valore assoluto è più basso perché l'ebook costa meno. Va però anche considerato che in questa fase l'ebook viene considerato un "di più" e quindi i costi di gestione vengono assorbiti dal libro stampato, addebitando all'ebook solo la produzione del file e la gestione della filiera (che comunque comporta lavoro)."


Con l'IVA al 4%, il conto economico di un ebook si avvantaggerebbe di 18 punti percentuali (15 di margine).
Questo vantaggio che cosa modificherebbe nelle dinamiche economiche di settore? Gli editori potrebbero respirare meglio in un periodo di profonda crisi? Bene. (Ho detto: "bene", eh.) All'interno del mercato ci sarebbe una spinta effettiva a favore degli ebook? E le librerie? Le stesse che stanno chiudendo?
Nulla è per sempre. L'arrotino non passa più alla domenica. Il lattaio non mi porta più il latte sotto casa, ma a me piace essere cosciente dei cambiamenti che mi si chiedono.
Lo riscrivo, perché sono alla fine: sono per la riduzione dell'IVA dal 22% al 4% sugli ebook, però non mi va di fare all'italiana. Non mi va di andare sotto le finestre del Senato con i forconi perché fa tutto schifo, o tirando in ballo un generico e "identico valore della cultura, che sia cartaceo o digitale."
Voglio che mi sia spiegato, voglio capire se la forfettizzazione della resa e l'IVA al 4% riescono davvero a bilanciare il costo del via vai del libro fra i magazzini dell’editore e gli scaffali delle librerie, così come dice l'editore Guaraldi nel bell'articolo di Marco Ghezzi.
Quell'IVA al 4% ha ancora un senso?
La campagna questo non me l'ha spiegato, e io non ho avuto voglia di appoggiarla.


Si accettano smentite, rimproveri, correzioni. Internet mi serve per imparare, non per piantare bandiere.






Nessun commento:

Posta un commento