lunedì 18 marzo 2013

Quando smonta uno scrittore?

Facciamo che per il tempo di questo post tu creda che nel mondo tutti quelli che scrivono possano campare di scrittura.
Ora non fare quella faccia. Ho usato apposta la premessa utopica proprio per non farti avere quell'espressione.
José Saramago dice che la scrittura è un lavoro, ecco sì, lo dice in questo video:


Ora che hai una fonte più attendibile, puoi adattarti meglio a quello che sto per raccontarti e che non c'entra con la solita polemica all'italiana. (Perché l'avevi pensato, è vero? :) )

Lo scrittore non ha turni di lavoro. Può costruirsi fasce orarie da dedicare alla tastiera, organizzare la sua vita in base alle cose da scrivere allineando i tempi con quelli dilatati dell'editoria e le speranze con i direttori di banca, ma uno scrittore difficilmente potrà davvero alzarsi dalla scrivania e dire ora torno a casa prima che il lavoro sia finito anche nella sua mente.
Uno che scrive porta sempre il proprio testo in una tasca del cervello, ovunque vada. Non esistono otto ore di lavoro: è un flusso continuo di attività che accetta le pause dell'esistenza materiale ma che si distende in un tavoliere di pensieri che pare infinito a guardarlo da una torre di idee costruita su incastri spesso fragilissimi.
La fine arriva dopo l'ultimo punto dell'ultima frase dell'ultima revisione. Solo allora lo scrittore può sollevarsi coi pensieri curvi per lo sforzo è dire ho finito. È una sensazione simile a quella fisica che si prova negli uffici e nelle fabbriche il venerdì sera, quando il pregustare la lunga pausa di due giorni invoglia a gesti d'intesa pure coi colleghi antipatici.
Chi ama bere brinderà con moderazione, perché alla fine si tratta solo di un weekend.
Chi ha una fidanzata farà l'amore con un trasporto diverso dal lunedì.
Chi non ha nulla sarà felice lo stesso, perché il lavoro è tale solo se lo si può finire. E quando si finisce qualcosa significa che comunque qualcosa è stato vissuto.

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