sabato 23 ottobre 2010

La Cina è qui! Il Meridione anche, e Wikileaks pure. Con una spruzzata di Confucio.



Il Meridione italiano, la Cina e Wikileaks hanno gli stessi legami che può generare l'effetto farfalla nella teoria del caos in un modello matematico. Nel caso specifico il modello è socio-economico: ciò che la semplificazione esprimerebbe come la conseguenza di fattori politici e sociali in cui un effetto ne genera un altro fino ad arrivare al nostro presente.

Negli ultimi due anni il Sud Italia ha perso il 20% del valore aggiunto del settore industriale generando 100.000 disoccupati; e mentre i sindaci e le regioni quest'estate si lamentavano dei tagli del Patto di Stabilità e il governatore Raffaele Lombardo chiede oggi allo Stato una fiscalità allo 0%, si scopre che dal 2007 al 2013 il Sud Italia ha speso solo 3,6 miliardi di euro sui 44 stanziati attraverso i fondi europei.
Osservando un insieme più vasto, negli ultimi 10 anni l'Italia ha perso in produttività 30 punti percentuali rispetto alla Germania.

Mentre nel nostro Paese abbiamo perso mesi nel 2010 con lotte politiche fratricide e lodi giuridici, in un solo trimestre del 2009, da febbraio ad aprile, la Cina ha rivisto completamente la sua politica economica.
Constatando che i propri movimenti finanziari erano concentrati sull'export con una nazione statunitense in notevole difficoltà, la Cina ha fatto la cosa più semplice: ha dirottato l'export all'interno dell'Asia, contrattando le materie prime che potevano fornire i propri vicini con un abbassamento delle barriere doganali, senza badare al colore politico dei Paesi.
Azione che in un paese occidentale avrebbe richiesto dai 18 ai 24 mesi, come minimo.
Mentre la Cina cresceva, l'Italia rimaneva a guardare o, quando si muoveva, era perlopiù incapace di schierare un management pronto per la mentalità asiatica (a parte sporadici casi) e non avendo potenze multinazionali da schierare al pari della Germania o della Francia.
Dei 42 miliardi di dollari importati dalla Cina nel settore agroalimentare, solo lo 0,3% è la fetta spettante all'Italia. E sto parlando di un settore in cui il Bel Paese nell'immaginario comune è principe.
Il paradosso si ha se si osserva l'interesse cinese suscitato dal Padiglione Italia all'Expo 2010 di Shangai. L'affluenza ha meravigliato gli analisti, dimostrando che la Cina ci vorrebbe, ma noi non facciamo nulla per farci volere bene. Cioè non abbiamo un Sistema Italia che spalleggia le nostre eccellenze di mercato.

Mi si obietterà che la Cina ha macinato investimenti forte del regime totalitario sprezzante dei più basilari diritti umani.

È proprio lì che volevo arrivare.
La verità sta nel mezzo.

Se è palese che le atrocità in Tibet e la polemica sul premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo farebbero inorridire qualsiasi paese occidentale, è altrettanto evidente che si dovrebbe considerare la civiltà confuciana da cui derivano i popoli orientali.
La scuola confuciana è poco metafisica e molto terrena.
Se il pensiero aristotelico occidentale privilegia l'identità del singolo, quello confuciano pone l'accento sulla comunità.
Se i "nostri" errori si concretizzano in peccati di origine metafisica (religione), i "loro" si manifestano con la vergogna: cioè con atti non conformi ai dettami comunitari (etica).
Se per gli occidentali è impossibile contestualizzare un mercato regolato da un regime autoritario, il potere Cinese (e Giapponese dagli anni 50 ai 90) basa la sua forza proprio sull'autocrazia.

Paradossalmente siamo in imbarazzo a contestare le loro scelte ponendo il nostro modello democratico come esempio, se quello stesso modello ha generato un mercato finanziario che ha prodotto la crisi del nuovo millennio, e sta tradendo, con le rivelazioni sulla guerra in Medio Oriente da parte di Wikileaks, una democrazia tanto perfetta da pretendere di essere esportata: quella statunitense.

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