sabato 21 agosto 2010

L'ultima volta che hai guardato il cielo



Un miliardo di anni fa scrissi un racconto (ora illeggibile) intitolato "Quando Dante scrisse La Gioconda" ambientato in una realtà futura iperfunzionale che ha dimenticato cultura, natura, rapporti sociali. La protagonista è una studentessa universitaria che la sera prima dell'esame si perde nelle campagne attigue alla metropoli e si scopre a guardare per la prima volta un cielo stellato. Nella sua realtà nessuno osserva più il cielo perché lo si è già visto. Ma l'ovvietà porta alla dimenticanza.
Per me la banalità è il toccare con mano l'ovvio e renderlo di nuovo comune.
Il cielo azzurro, l'acqua di un fiume, il contatto di pelle. Dando le cose per scontate ci si dimentica di esse, o meglio, si perdono le sensazioni che trasmettono.
Feci questi ragionamenti qualche anno fa, quando lessi articoli di mamme lombarde che portavano i figli in campagna per mostrare loro che i polli sono animali e che le coscettine non nascono dentro il polistirolo nel supermercato; o di un nutrizionista che spiegava che il gusto dei frutti percepito dai nostri figli è associabile al surrogato dei composti chimici piuttosto che a quello dei frutti staccati dagli alberi; o di un fonico che accertava che gli adolescenti riconoscevano il suono di un MP3 migliore di un formato non compresso perché abituati a un certo tipo di frequenze.
Ecco, per me la banalità è la riscoperta della vita basale. 
Banalità non vuol dire fermarsi alle cose semplici, ma partire da queste per capire e cambiare.

3 commenti:

  1. Basta poco per cadere nell'ovvio e nello scontato. Dovremmo girare tutti con i tacchi a spillo per poter guardare un pò più in su di noi.

    RispondiElimina
  2. Un giorno passeggiavo con mio figlio sulla strada che guardando in una pozza di gasolio esclamò: "Guarda mamma! L'arcobaleno!"

    Simonetta Brambilla alias Missi ;)

    RispondiElimina
  3. :)
    La meraviglia nelle piccole cose. Anche in quelle brutte.

    RispondiElimina