domenica 7 marzo 2010

Meteoropatia




Odio l’astrologia e la meteorologia. La prima perché mi secca vedere la gente credervi. La seconda perché credervi non cambia il tempo che sarà. Ma se l’astrologia è il passatempo delle sale d’attesa o dei saloni di bellezza ed è facilmente controllabile nelle sue ingerenze, la meteorologia ti fiacca in ogni dove soprattutto d’estate, quando i Giuliacci e i Galbiati si contano a mazzi sia in ufficio che in casa e persino dal benzinaio. Se devo andare in un posto devo farlo che ci sia pioggia o che ci sia sole. Non è possibile neanche decidere le proprie ferie in base alle previsioni, in quanto le vacanze d’ufficio sono così incastrate che l’aereo per Londra ti parte due minuti dopo l’ultima timbrata del cartellino. C’è stata una sola persona nella mia vita che riusciva a farmi attendere le previsioni meteorologiche quasi fossero regali di Natale da scartare sotto l’albero: mio nonno.
Aspettavo che tornasse dal bagno. La porta si apriva lasciando i vapori saponati liberi di attraversare il corridoio fino alla mia stanza. Era il segnale odoroso. In fretta sfuggivo alla morbida presa del lenzuolo arrotolato e a piedi nudi, sul pavimento di ceramica, correvo verso la grande camera dei nonni. La testa si allungava timida oltre lo stipite di legno biondo per scrutare nella stanza. Trovavo il nonno disteso supino sul lato sinistro dell’enorme letto matrimoniale di legno bruno intagliato. Indossava una maglietta a maniche corte solitamente bianca e un paio di pantaloncini di cotone dal disegno molto vecchio. Nessun lenzuolo lo copriva, ma la radio di plastica nera e grigia  era poggiata sul suo stomaco e già cantava i jingle pubblicitari di RadioUno. Mia nonna, di solito assopita, era distante dal suo fianco quel tanto che bastava per lasciare che il corpicino di un bambino riempisse lo spazio vuoto. Così, al cenno della mano del nonno o al suono del suo “buongiorno”, partivo slittando sul pavimento e mi tuffavo nel centro del letto. Sorriso, un bacio e il profumo del cotone pulito della sua maglietta; del dopobarba e dell’acqua di colonia sulla pelle lavata e asciutta; la vista del viso perfettamente rasato e lindo; l’ondeggiare della radio sullo stomaco ad ogni respiro.
Quella scatola di plastica radunava da quel momento la mia spensieratezza. Voci, suoni e canzoni che definivo sciocche nel resto della giornata, nei minuti accanto a mio nonno acquisivano un valore incommensurabile. E stavo ad ascoltare il giornale radio e i servizi. Cronaca e sport. Anche la politica. Poi al termine, dopo la pubblicità, le previsioni meteo che iniziavano con quel trillo di campanelli a metà tra il misterioso e l’allegro. E il nonno alzava il volume. Nembi, cumulonembi, vento di scirocco e grecale, previsioni della mattina e del pomeriggio e il nonno commentava. Mi spiegava i perché facendomi volare sull’Italia. Diceva che la bassa pressione arrivava dalla Francia e che le Alpi forse ci avrebbero riparato. Diceva che l’Africa avrebbe portato pioggia e sabbia e che le auto si sarebbero sporcate. Diceva che a Foggia d’estate ai tempi dei bombardamenti s’alzava la terra dalle strade a causa del forte vento.
Mio nonno non c’è più. E io odio la meteorologia.

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