venerdì 4 aprile 2014

È tutto sbagliato


Per scegliere l'immagine di questo post ne ho cercata una in google che fosse riutilizzabile, o di dominio pubblico, e mentre lo facevo, mentre ignoravo chi fosse l'autore, mentre pensavo che questo post non avrà alcuna revisione, mentre premevo il tasto destro e sceglievo "salva con nome", mentre la selezionavo all'interno del riquadro, questo riquadro che sto usando per scrivere queste parole, io facevo parte della rete nel modo in cui la rete ha voluto ne facessi parte.
Per soldi.
Perché Blogger è soldi. Google è soldi. Facebook è soldi. Capisco che siano soldi, ma questo modo di essere scelto da altri, da aziende, come può essere quello di qualsiasi impresa produttrice di, che so, guarnizioni arancioni per le bottiglie col tappo per scioglierci l'idrolitina, dicevo: questo modo di essere sta facendo in modo che diventi anche quello di tutti gli altri che non sono aziende. Come quelli che aprono un blog, coltivano lettori e poi piazzano, pam!, un libro quando è il momento giusto, o come quelli che ci stramazzano di ricette, che li prenderei a schiaffi, per essere invitati poi in un programma qualsiasi di qualsiasi canale del digitale terrestre, ché tanto tutti ce ne hanno almeno uno di programma di ricette. E ce ne sono migliaia di esempi così. Milioni. Poi ci sono anche i pensionati che pubblicano i loro disegni a olio di Roma, ma le eccezioni, quelle non contano mai, conta la massa quantificabile con l'infinito, perché per un'azienda come Google, Facebook, o un altro nome qualunque che ti viene in mente basato solo su ciò che ti piace, mai su ciò che non ti piace, per un'azienda così la massa è un infinito su cui fare calcoli.
Ma ci stiamo perdendo. Ce ne andiamo da un'altra parte. Non fraintendermi, non è che l'arrotino faceva l'arrotino per beneficenza, però quando tornava a casa le mani gli puzzavano di ferro e aveva la limatura d'acciaio sulla tuta o sotto le unghie. Non che chi usa internet non possa fare l'arrotino, ma è internet che è costruita perché sia solo un'affilatrice di marketing. E lo capisco. Lo capisco. Anch'io, che ho messo le copertine e i link delle mie cose, per cosa l'ho fatto? Per quello. Per avere un posto. Per fare l'arrotino. È solo che quando ti succedono le cose della vita vera, quelle brutte, le più brutte che si possono pensare, quelle fatte di sangue, piscio, puzza, e pianti, pugni, rabbia, ecco, quando ti succedono quelle cose lì, è come se ti sollevassi dalla Terra riuscendo vedere tutti dall'alto come se fossi in orbita. E tutti ti sembrano ridicoli, meno i pensionati che dipingono Roma. Li vedi tutti a parlare della durata delle batterie degli smartphone, mentre da un'altra parte una persona muore. Li vedi tutti a dire che quello era rigore, mentre da un'altra parte un bambino viene picchiato. Li vedi tutti a dire che è uscito il nuovo disco del più cretino dei cantanti, mentre da un'altra parte nessuno dà un bacio a quello sconosciuto che ha donato il sangue e ora si sta mangiando un cornetto alla crema al bar.
Mi dirai: ma non si può mica fare che tutti diventiamo seri, sempre. L'uomo è fatto di risate e pianti. Vedi, è che internet, invece, è fatta solo di risate e soldi, e regge il gioco agli occhiolini di tutte quelle altre amebe che ti costringono a desiderare uno smartphone da settecentonovantanove euro quando l'anno prima per il modello vecchio ne hai spesi settecentonovantotto.
I pesi sulla bilancia sono sbagliati. Il cantante pesa più del donatore. Lo smartphone più di un abbraccio. L'ironia su Facebook più di una carezza a un malato.
È tutto sbagliato, tranne i pensionati che usano internet per metterci su i dipinti a olio di Roma.

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